di Cavallito & Lamacchia
Dovrete fare la tara a quello che scriveremo. La notte di Cocconato era tersa, l’entusiasmo della nostra prima volta incontenibile. Tornavamo distratti per strade secondarie, i finestrini semiaperti e in bocca ancora i sapori di salvia e d’estragone. Avremmo potuto ululare alla luna, sedotti dal menu di Messia Rolla, giovane cuoca di rara sensibilità che interpreta la cucina radicata e leggera di un Piemonte finalmente nuovo. La trama raffinata del menu è un percorso che ha i profumi delle erbe dell’orto e di quelle del bosco, una traccia che parte con il tarassaco che amplifica la dolcezza delle cialde di miso e i fagioli borlotti con mascarpone di capra e cavolfiore, e chiude con la salvia e il dragoncello di un dolce di fragole e granita alla menta. Nel mezzo, piatti sorprendenti: le lumache di Santo Stefano Belbo con senape, liquirizia ed erbe raffrescanti, che sono antiche e contemporanee; la cresta di gallo con scorzonera, le erbe dell’orto e una salsa piccante di bbq e brodo di pollo, orientale ben oltre i confini di Casale; la tartare di salmerino, in cui la composta di rosa canina è profumo di donna e la spuma di champignon odore di terra; gli eccezionali berlingot di ricotta di latte di fico e il consommé vegetale con il finocchietto di mare e subito dopo, come una provocazione che rompe a metà il menu, un solo won ton con brodo di mela affumicato e dragoncello; e poi l’animella frollata nella cera d’api, con la salsa al sangue e la salvia dei prati, e la testina con la carota e il rafano e il brodo di bollito; e poi pan brioche con le prugne, e burro di capra, e olio di pino, e ancora erbe e ancora tocchi leggeri, senza che nulla sembri superfluo e, anzi, tutto essenziale. Finisce con una galette des rois, molto buona come gli altri lievitati, e con un gelato allo zabajone che è un ritorno a terra controllato e discreto. Poi c’è un servizio cordiale senza salamelecchi, una carta dei vini senza troppi ricarichi, una sala raffinata senza sfarzi e una vista senza palazzi. Pensavamo, al rientro, ormai smarriti nella notte monferrina, alla irripetibile ebbrezza della prima volta, alle troppe aspettative della seconda, e ci dicevamo con la nostalgia che ti prende all’alba quando percepisci di avere mancato il bivio per Torino, che ci era piaciuto così tanto che non vorremo tornarci più.