Alessia Rolla fa parte della nuova generazione di chef con le idee chiare e una visione programmatica del futuro, mettendo tecnica, anima e cuore nel suo Cantina Nicola a Cocconato d’Asti
C’è tanto fermento nelle valli piemontesi, in quella provincia sonnecchiante che si snoda tra il verde delle vigne e le giornate di lentezza da cui a volte si sogna di scappare e altre ci si aggrappa come a una certezza confortante. La provincia, distante dalla frenesia, lontana dalle mode sempre più veloci. La provincia dove in realtà si fanno sempre più spesso, ultimamente, le scoperte gastronomiche più interessanti. E no, non quelle legate alle osterie vecchio stile, dove il piacere impera in piatti strabordanti di tradizione, ma quelle che hanno a che fare con giovani promesse, talentose e caparbie, che scelgono di stare nei loro luoghi di origine per raccontare il territorio in un modo diverso e più contemporaneo.
Alessia Rolla è una di loro. Cresciuta tra le valli del Monferrato, con una vita contadina aggrappata all’anima, ma la voglia di andare oltre. La sua carriera in cucina è cambiata quasi per caso. Prima l’aiuto in un locale di famiglia, poi qualche aperitivo preparato per gli amici. Per gioco, per caso. Si appassiona e apre un ristorante semplice e genuino nel casale, Cantina Nicola a Cocconato d’Asti, dove il cognato Federico Nicola produce da anni Barbera, Nebbiolo, Grignolino.
«Quando ero piccola facevo due scuole, i geometri e il conservatorio. Poi ho iniziato a fare la cameriera, a fare le stagioni: i primi tempi, essendo molto timida, tornavo a casa e pensavo di non potercela fare, poi mi sono appassionata. Prima della sala e poi della cucina. Ho provato anche a studiare architettura, ma non era il mio». È l’inizio di tutto. La passione fa largo alla progettualità visionaria. Alessia è autodidatta. Studia, viaggia, va a mangiare dai “grandi”. Il lockdown fa il resto.
Dalla crisi nascono le opportunità, si dice, e Alessia questa opportunità non se la lascia scappare. La lunga chiusura è la possibilità per rimettere mano alle cose, per dare un’aria nuova agli spazi e creare una cucina in cui si riconoscesse lei e il suo nuovo modo di interpretare il cibo e il suo territorio. È da lì che parte, infatti, tutto: da quella provincia e da quelle valli, dai suoi produttori, dai boschi e dall’orto. E anche da un proverbio: «In ogni buco metti sempre tre semi: uno per noi, uno per gli insetti e uno per sicurezza», il mantra ripetuto all’infinito dal nonno di Alessia, che in qualche modo ha dato l’imprinting per quella che oggi è una scommessa gastronomica, intrisa di contemporaneità, ma ben ancorata alla cultura contadina piemontese.
È all’agricoltura, ai suoi ritmi e ai suoi modi di essere, infatti, che la cucina di Alessia si ispira e prende forza, con prodotti che arrivano in parte dai contadini del luogo, in parte dal suo orto e dalle ricerche nei boschi intorno, fatte da lei e dalla sua brigata tutta al femminile, con la giovanissima Erica Origlia come suo braccio destro. E con idee che nascono dai cassetti della memoria familiare.
C’è molto delle sue radici nei piatti che vengono portati in tavola, delle ricette viste e riviste in casa da bambina, di quei sapori che, in qualche modo, ti rimangono appiccicati addosso come l’inchiostro di un tatuaggio. «Quello che voglio raccontare nel mio menu è la rappresentazione della nostra cultura rurale. Spesso la cucina segue le mode e le tendenze, ma io preferisco utilizzare gli ingredienti con cui sono cresciuta, come le zampe di gallina, ad esempio. E per me raccontare un territorio significa anche questo. Non lo racconti con piatti che piacciono a tutti, ma con quello che si mangia davvero e si mangiava un tempo».
Un luogo intimo, pochi coperti, un design essenziale e caldo, una carta dei vini studiata al millimetro, con scelte territoriali non solo piemontesi, ma che arrivano sempre da questi confini. Si percepisce, si vede questo attaccamento ai luoghi e alle radici. Alessia ha deciso di proporre tre diversi percorsi degustazione. Uno che è una dichiarazione d’amore per la tradizione piemontese, dove i ravioli di coniglio sono quelli della ricetta della nonna e ti portano in un passato confortante e sicuro. Uno dedicato al mondo vegetale, realizzato in un’ottica di cucina zero spreco e dove si percepisce l’influenza nordica del nuovo viaggio gastronomico della chef, con tecniche di fermentazione e ingredienti che arrivano dal foraging.
C’è tanto del sacrificio della cultura contadina di questi luoghi: «La maggior parte della cose che serviamo a tavola, proviamo a farle noi» racconta infatti Alessia. «Può sembrare faticoso, lo è, ma è anche divertente, perché diventa uno stimolo anche mentale». Come i berlingot, un formato di pasta tipicamente francese, realizzati con un ripieno di ricotta vaccina fatta cagliare con il latte delle foglie di fico. O come il pan brioche al lievito madre, farcito con le prugne secche e portato a tavola con burro di capra e polvere di aglio orsino, da una parte, e olio di germogli di pino dall’altra.
Un viaggio introspettivo nel mondo di Alessia, che attraverso i piatti riesce a dare una visione ben chiara di sé, confermata poi dal modo che usa per raccontarsi. Ha un carattere forte e si percepisce subito. «Vorrei raggiungere la stella» dice. E no, dietro non c’è una sicurezza sfrontata, ma solo il sacrificio e l’impegno di una giovane donna che sa bene dove vuole andare. E anche quali sono le sfide che le si presenteranno davanti.
Le difficoltà, Alessia, le conosce tutte. A partire da quelle legate alla ricerca di personale: «Noi apriamo tre, quattro giorni alla settimana, ma c’è comunque tanto da fare e non è semplice trovare le persone giuste: puoi essere bravo, ma non basta. Devi avere la predisposizione per questo lavoro, l’impegno, l’educazione». È la storia di sempre, quella di un settore che deve ritrovare fascino, ma anche concretezza e visione del futuro. E Alessia queste cose le ha ben chiare. È stato difficile scegliere questa strada professionale da donna? «Il problema non è mio, di solito è degli altri». Palla in rete.
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